N°9 SETTEMBRE 2022

Il casellante

Evoluzione del sistema di pagamento del pedaggio e della figura dell’esattore autostradale.

Bello comodo transitare in autostrada con il telepedaggio, senza fermarsi ai caselli. ma non è stato sempre così. Facciamo un passo indietro. L’autostrada nasce da un’idea tutta italiana dell’ingegner Pietro Puricelli, nel 1923. Questi progettò le prime strade senza incroci a raso con altre arterie, riservandole esclusivamente al traffico auto veloce. Nasce allora il “casellante autostradale”, che sostanzialmente doveva riscuotere il pedaggio per coprire le spese di costruzione e di gestione dell’arteria. Di fatto, troviamo la prima figura del casellante nella prima arteria costruita al mondo, la Milano-Varese. Si trattava di una strada ad una sola corsia per senso di marcia ed il pagamento del pedaggio avveniva con l’obbligatoria fermata nell’area di servizio. Si dice che nel giorno dell’inaugurazione, Re Vittorio Emanuele III° stesso si fermò nell’area di servizio per complimentarsi con la nuova figura professionale. Successivamente, con la creazione dei caselli, il pedaggio si pagò dichiarando all’esattore in entrata la propria destinazione, ovvero la stazione d’uscita: in questo modo l’utente, entrando al casello, pagava in contanti all’esattore l’intero tratto da percorrere.

Il biglietto ricevuto all’inizio del percorso doveva essere ritirato da un esattore in uscita e, se questo non corrispondeva al tratto pagato e percorso, esigeva il pagamento della differenza.

Nel 1973 venne introdotto il biglietto con bande magnetiche da ritirare alla stazione d’entrata, pagando poi in contanti a quella d’uscita.
Il pedaggio, al tempo, veniva calcolato con un mix di riferimenti per cilindrata, cavalli fiscali e peso dei mezzi pesanti. D’obbligo quindi la necessità di conoscere le varie tipologie di moto, vetture e camion per applicare correttamente il pedaggio dovuto.

Al centro del pagamento dei pedaggi c’era sempre e comunque l’esattore. Il lavoro di questo personale, a prima vista monotono e noioso, prevedeva un rapporto non semplice con la clientela, variopinta e diversificata: visto essenzialmente come “esattore”, allo stesso tempo era individuato da molti con un minimo di rapporto umano. Il maneggiare denaro, di tutte le valute e taglie, comportava anche il destreggiarsi con le lingue, per esigenze di pedaggio e per dare la prima minima informazione all’utenza. L’esattore poi, oltre a maneggiare banconote, è stato costretto per un buon periodo ad utilizzare miniassegni e francobolli, in quanto la moneta metallica era venuta a mancare, data la quantità delle transazioni eseguite. Il lavoro in turni, pesante per lo scompenso dei bioritmi fisici, veniva aggravato da condizioni di servizio particolarmente gravose dovute alle cabine aperte, con caldo d’estate e freddo d’inverno. Il personale, allora, era obbligato ad usare cappello, camicia e cravatta, con solo quest’ultima esentata d’estate. La logica era quella di servire l’utenza consegnando e ritirando il biglietto. Anche in presenza di mezzi pesanti con guida a destra, passando quindi pericolosamente davanti alla motrice. Non parliamo dei gas di scarico prodotti dai mezzi in partenza e respirati dal personale. Alla successiva chiusura delle cabine, con un impianto che inviava aria pressurizzata all’interno e con temperatura consona, il lavoro diventò più confortevole: in particolar modo questo non permetteva più ai gas combusti dei motori di entrare nelle postazioni, con un miglioramento significativo dell’ambiente di lavoro.

Questo stesso andava a modificarsi nel tempo, diventando sempre più tecnologico, per arrivare ai giorni nostri alla riscossione del pedaggio tramite l’utilizzo di automatismi e sistemi di telepedaggio integrati.

Oggi quasi non esiste più il ticket. L’esattore è chiamato, da un ufficio remoto, a gestire le irregolarità nelle transazioni, tenendo sotto controllo più stazioni contemporaneamente e intervenendo in pista esclusivamente per approvvigionare e per risolvere le anomalie tecniche.

Tornando all’esattore degli anni 70 e 80, però, non si possono dimenticare tanti aneddoti che hanno in qualche modo fatto la storia della nostra autostrada. ne abbiamo parlato con paolo, che ha lavorato presso la stazione di dolo-mirano, allora in a4 (oggi a57).

«Era il 1970 – racconta – in presenza di un’estate caldissima ed il casello dove mi trovavo era un fabbricato di piccole dimensioni, circa 2 metri per 2, sprovvisto di pensilina per il sole e le intemperie, con una struttura in ferro e vetrate su tutti i lati per ragioni di visibilità verso l’esterno. Lì il sole picchiava dall’alba al tramonto, con freddo d’inverno e caldo d’estate. Il lavoro in cabina era difficile, appena possibile ci si recava ai bordi del piazzale sotto qualche albero per cercare un po’ di refrigerio. Erano circa le 16 di un pomeriggio quando improvvisamente un vento impetuoso trasportò nuvole minacciose sopra di noi e in poco tempo scaricarono un’immensa quantità di acqua che, sul momento, benedicemmo nonostante fossimo bagnati dalla testa ai piedi. Poi però il forte vento sradicò un grosso albero all’imbocco della corsia di uscita dell’autostrada, bloccando il traffico. Un collega andò a gestire la viabilità per impedire incidenti, mentre al casello il traffico in entrambe le direzioni veniva regolato dall’unico casellante rimasto. Fortunatamente non ci sono state gravi situazioni, tranne forse l’aver dovuto continuare il servizio in quelle condizioni. In particolar modo per l’esattore recatosi a regolare il traffico, che non poté fare altro che spogliarsi per quanto possibile e asciugare al sole i vestiti in mezzo alle auto».
Un esempio di dedizione al servizio.
«Negli anni Settanta – racconta poi Sandro – il sistema di esazione non era unificato tra le autostrade A13 e la A4, quindi esistevano due barriere autostradali nello spazio di pochi chilometri l’una dall’altra, Padova Levante e Padova Sud-Est. Durante il turno dalle 22 alle 6, quindi nel cuore della notte, il traffico era quasi nullo e aleggiava una nebbia particolarmente fitta.

Nel silenzio più ovattato, sentimmo bussare sul vetro della porta e, nell’aprire gli occhi, vedemmo pararci davanti un ‘fantasma’.
Una figura completamente bianca dalla testa ai piedi, per poco non ci colse un infarto. Questi ci spiegò che sullo svincolo d’intersezione tra la A4 e l’A13 era uscito di strada, finendo con il proprio mezzo sulla scarpata sottostante. La sua professione era quella di imbianchino e, nel capovolgersi lungo la scarpata stessa col furgone, i contenitori di vernice bianca si erano aperti con un inevitabile effetto doccia sul malcapitato. Allertato il soccorso stradale per il recupero del veicolo, il malcapitato è stato “sbiancato” letteralmente nel bagno del casello. Nei giorni successivi, riconoscente, ha voluto ringraziarci con delle bottiglie di ottimo vino».

Sono molte le figure professionali che operano sul transito autostradale, ognuna con le proprie professionalità ed esperienze. La simbiosi con il personale della Polizia Stradale ha fatto sì di mantenere sempre viva la propria mission, sintetizzabile con l’adoperarsi anche al limite delle proprie possibilità per la sicurezza della circolazione.

I Senatori delle Autostrade VE-PD