N°6 AGOSTO 2021

Ripartire dopo la pandemia: una possibile speranza, nuova e comune

Padre Stefano Del Bove insegna alla Pontificia Università Gregoriana, dove dirige il Diploma di Leadership e Management ed è cappellano dello stesso ateneo. In ambito internazionale all’UNESCO, ha contribuito all’organizzazione della conferenza “Education as a Path to Love” e ha partecipato alla Conferenza Generale 40o.



FINALMENTE SI RIPARTE! Se ne parla molto in questi mesi e come sempre accade nelle pratiche quotidiane e feriali di vita, si rischia di svuotare queste parole del loro valore performativo, con un uso ricorrente, ripetuto, ridondante. Accade che addirittura si abbia come l’impressione che queste parole giungano come usurate ai nostri orecchi: piuttosto che aprire un nuovo orizzonte di vita, finiscano per confermare la grande disillusione, effetto della pandemia: ad essere contagiosa non sarebbe la vita che riparte, ma la paura di perdere che immobilizza!

La ripartenza può consistere in un semplice gesto: il riavvio di un’autovettura che per un po’ era stata messa in disparte, e, così considerata, si tratta al massimo di un’operazione tecnica che seppure ha dietro tanta tecnologia non realizza alcuna novità, non garantisce ciò che nelle parole di papa Francesco è peggio della pandemia, ovvero che essa passi invano! Infatti, non basta tentare di riprendere sentieri interrotti più o meno bruscamente, ma avviare ed assicurare un’operazione spirituale che contrasti le forze che hanno inibito la speranza e la ragionevolezza dei nostri percorsi di vita, anche professionali.

La ripartenza deve includere una lezione storica, un qualcosa che senza quest’ultimo anno probabilmente non avremmo compreso o realizzato. Uno sguardo critico, venato di una comprensibile disillusione potrebbe affermare: non era bastata la crisi dei crolli e delle instabilità dei cavalcavia e dei pgonti che, invece che assicurare il passaggio, lo trasformavano un rischio di vita personale e collettiva, ci si era messa anche la pandemia a trasformare i gesti e le pratiche che uniscono (come non pensare al viaggio), che da secoli articolano le relazioni umane, in potenziali vettori almeno del rischio di contagio.

Un dramma che sembra non avere finire, un lutto che appare troppo difficile da elaborare! Proprio in questo scenario ripartire è necessario, essenziale, urgente: significa sperimentare nuova vita proprio nei luoghi percepiti come complicati, intraprendere e riaprire strade, attraversare ponti che ci uniscono, anche dove non c’era più speranza che ci potessero più essere.

Ripartire con nuova energia, ma anche con energie nuove e rinnovabili, dopo che il lockdown sembrava aver sottratto ogni forza, minato ogni iniziale previsione dell’auspicato e tragico “Andrà tutto bene!”. Ripartire significa infondere in una nuova idea di lavoro (industriosità e imprenditorialità) che fa propria la lezione – che tanto la dottrina sociale della Chiesa predica ed il mondo sembra temere – che il profitto non è tutto e che il vero profitto è migliorare la vita delle persone. Il miracolo di essere di nuovo presenti alla vita l’uno dell’altro ed alla costruzione del bene comune! Per chi si occupa di mobilità, della sua articolazione strategica ed in sicurezza, la sfida è offrire i mezzi per una liberazione delle persone da quel paradigma di immobilismo legato al contrasto del contagio che abbiamo sperimentato per mesi. In altre parole, ridisegnare e promuovere un ambiente che non sia lo spazio ristretto in cui siamo stati rinchiusi e le cui categorie e restrizioni abbiamo interiorizzato e tentiamo di promuovere dovunque.

Per fare tutto questo ci vuole educazione, cultura e la sapienza che viene dalla tradizione religiosa del nostro Paese: proprio ciò che la gestione della pandemia ha spesso derubricato a problema di ordine pubblico e sanitario. Questo ci salverà sia dalla depressione, sia dalla traduzione dell’ansia in euforia, fenomeno che sembra occupare gran parte dello spazio mentale delle generazioni più giovani. È tempo di un invito, quello che molti dei media nazionali hanno purtroppo rinunciato a formulare, lo stesso che con desiderio, intenzionalità, tensione e passione cerco di rivolgere a tutti i lettori:

– a essere consapevoli che ripartiamo più fragili e più sobri… ed è qui la nostra forza perché siamo un po’ meno effimeri, più autentici nella percezione di chi siamo e di coloro con e per cui viviamo, dei mezzi a nostra disposizione, della qualità del cammino che percorriamo;

– a fare nostro di nuovo e sempre di più proprio il paradigma dell’Esodo – ampiamente ripreso dall’erudizione moderna – a lasciare il luogo della schiavitù portando con sé l’oro di cui Israele spogliò l’Egitto (Es. 12, 35-36), ciò che raccolto nel tempo di pandemia possiamo spendere per la costruzione del futuro;

– a vivere un’estate come tempo per gli altri e per noi con loro, tempo di lavoro, tempo di vacanza, tempo di progettazione, sapendo che in questo mirabile intreccio, sostenuto dalla Grazia, percepita o anonima che sia, manifestata con chiarezza variabile, vissuta con diversi atteggiamenti, c’è il segreto dell’autentica e possibile ripartenza.