N°7 DICEMBRE 2021

La Sicurezza in autostrada e le tante figure professionali che vi concorrono

Il Regio Decreto 1740, del 1933, prima raccolta organica di legislazione dedicata alla circolazione stradale, che si occupava congiuntamente della strada, dei veicoli e dei conducenti, aveva per titolo “Testo unico di norme per la tutela delle strade e per la circolazione”.

La scelta di riservare alla tutela delle strade la priorità, rispetto alla circolazione, nasceva dalla certezza che, solo tutelando la strada, se ne potrà garantire efficienza e sicurezza, che sono due fattori sinergici, in grado di esprimere, in maniera immediata, anche la cura ad essa riservata dagli Enti preposti alla gestione. Questi due fattori (efficienza funzionale e sicurezza), perché siano assicurati, richiedono una serie di figure professionali, unite e plasmate dal fascino che la strada esercita su quanti sono chiamati giornalmente a curarla, come condizione indispensabile per la sicurezza di quanti la percorrono.

La necessità delle diverse figure professionali impegnate nelle tante attività che nell’insieme assicurano la cura della strada, costituisce una costante che il tempo non ha mai rinnegato, e confermata anche con l’avvento di tecnologie sofisticate, quelle che dialogheranno con i veicoli, informandoli e guidandoli secondo la già chiara architettura delle Smart Road, definizione che, a partire dal 2025, costituirà lo standard di riferimento per le autostrade. Il termine “curare” è quello più antico e più appropriato nel definire le tante attività che una strada richiede perché possa garantire efficienza e sicurezza e, non a caso, Roma, che aveva nelle strade il primo fattore della sua sovranità, aveva creato la figura del curatores viarum, istituita dall’imperatore Augusto e compresa tra i funzionari di più alto rango istituzionale.

Ogni strada consolare aveva un proprio curatores, con il compito di curarne la manutenzione, il costante miglioramento e l’efficienza, perché quanto disposto dal grande imperatore con l’Aureum Miliarum fosse vero ed effettivo, in ogni condizione di tempo (*).

Le strade di Roma, sia per le tecniche di costruzione, che per i modelli di gestione, pensati e strutturati nell’ottica di garantirne in ogni condizione efficienza e funzionalità, costituiscono un patrimonio culturale unico, dal quale attingere per il presente e per il futuro, perché esse costituivano il fattore fondamentale per lo sviluppo economico e sociale di territori immensi, tutti uniti da una rete stradale efficiente e sicura.

Prima di Roma la strada non aveva mai assolto a tale funzione. Per i greci, le strade non si elevarono mai oltre la dimensione naturale acquisita col calpestìo del territorio, mai particolarmente curate, né utilizzate per finalità strategiche. Con l’espandersi della sovranità di Roma, la strada diventa oggetto di attenzione privilegiata, sia nelle tecniche di costruzione, che nella manutenzione, in quanto strumento indispensabile per consolidare le conquiste realizzate, sino ad identificarsi con lo spirito stesso dei Romani, caratterizzato dall’amore per l’utilità delle cose e la visione delle finalità, a cui destinarle (**).

Il curatores viarum, preposto alla cura della strada, dipendeva direttamente dall’imperatore e disponeva delle migliori professionalità dedite alla costruzione, alla manutenzione ed alla sicurezza della strada affidata.

Quest’ultima esigenza, con l’istituzione del cursus pubblicus, assumeva priorità rispetto alle altre, in quanto il servizio, appannaggio esclusivo dell’amministrazione imperiale, era destinato a garantire la circolazione veloce e sicura di messaggeri, portatori di ordini, direttive e notizie, indispensabili per il governo degli immensi territori, sui quali si espandeva la sovranità di Roma.

L’importanza del servizio crebbe rapidamente e l’imperatore Adriano ne affidò la gestione a un prefectus vehicolorum, che agiva agli ordini del prefetto al pretorio e, per un certo tempo, sopravvisse alla caduta dell’impero e poi scomparve. Con la fine dell’Impero d’Occidente (476 d.c.), anche le strade ne seguirono la triste sorte.

Esse persero efficienza e sicurezza per lungo tempo, sino a riprendere parzialmente l’antico vigore con i pellegrini, che ne riscoprirono la grande utilità.

La rinascita vera e propria si realizzerà con la ripresa degli scambi commerciali, per esplodere con l’avvento del veicolo a motore, che fece avvertire subito la necessità di strade nuove e diverse da quelle esistenti, che ne permettessero la circolazione e l’utilizzo delle forti potenzialità, espresse dalla velocità e dalle capacità di trasporto.

ll veicolo a motore, infatti, è veloce, rispetto al pedone e ai carri trainati da animali e, perché la velocità possa realizzarsi, ha bisogno di strade nuove, più larghe e in conglomerato, non più in pietra.

Questa esigenza cambiava le tecniche di costruzione e di manutenzione delle strade, che, insieme a quelle ferrate, destinate alla circolazione dei treni, costituiva esigenza primaria da soddisfare. Già la legge del 20 marzo 1865, con l’allegato “E”, dettava regole per la classificazione delle strade nazionali che, insieme alle ferrovie, costituivano l’ossatura della rete di mobilità primaria del Paese appena nato.

Da sempre, la cura e la pulizia delle strade sono i segni più veri ed immediati di civiltà dei territori che esse attraversano e del persistere, negli Enti deputati alla loro cura, della cultura del diritto, perché la possibilità di circolare liberamente, in sicurezza e rapidità, è un diritto di tutti gli uomini liberi; “Nella più piccola città, ovunque vi siano magistrati intenti a verificare i pesi dei mercanti, a spazzare e illuminare le strade, a opporsi all’anarchia, all’incuria, alle ingiustizie, alla paura, a interpretare le leggi al lume della ragione, lì Roma vivrà. Roma non perirà che con l’ultima città degli uomini”. (Le memorie di Adriano di Marguerite Yuorcenar)

Ed è proprio questa cultura, che sfida il tempo e l’inevitabile mutare dei territori attraversati dalle strade, che ispirò la creazione della figura del Cantoniere stradale, al quale era dedicato il Regolamento, approvato con Regio decreto 31 marzo 1874, “Regolamento relativo al personale dei cantonieri e capi cantonieri delle strade cosiddette nazionali”, anche se la sua prima disciplina risaliva al 1824, quando l’ing. Giovanni Antonio Carbonazzi, inviato in Sardegna, intuiva quanto fosse importante, per lo sviluppo dell’Isola, costruire una rete stradale efficiente e garantirne cura e manutenzione. Con queste convinzioni, dopo aver provveduto alla riorganizzazione dell’Azienda Ponti e Strade ed avviato la costruzione della “Gran Strada Reale Carlo Felice”, si dedica a disegnare i modelli di cura e di manutenzione delle strade, prevedendo una figura di operatore, in grado di portare interventi tecnici e provvedimenti di polizia, che vivesse sulla strada e la sentisse propria. Nasceva così la figura del Cantoniere, il cui termine deriva dalla parola “canton”, di origini provenzali, che identificava un tratto più o meno lungo di una strada o di un sentiero, definito da due curve agli estremi, solitamente molto ampi, chiamati cantoni. Già nel ’600 si trovano indicazioni di “cantoniere” nei documenti francesi che narrano delle guerre contro l’Inghilterra e la Spagna e si occupano di provvedimenti finalizzati a controllare e curare tratti di strada ai fini militari. Questa denominazione francese influenzò il Carbonazzi, che la conserva, riconoscendone la necessità. Successivamente, seppure alleggerita delle mansioni militari, la figura del cantoniere restava fondamentale per garantire la funzionalità delle strade e si accreditava rapidamente nell’immaginario degli italiani non solo come sorvegliante, ma anche come tutore della strada, sempre pronto ad intervenire, quando questa correva pericoli o accusava condizioni meritevoli di soccorso. Il cantoniere è anche il primo poliziotto stradale, in quanto deputato a vigilare e contrastare attività che potevano danneggiare la strada. Egli viveva sulla strada assegnata e le case cantoniere, tutte uguali nella forma e nei colori, erano una componente fondamentale delle strade statali, che costituivano la rete primaria per la mobilità del Paese.

Questa concezione romantica del lavoro questa correva pericoli o accusava condizioni meritevoli di soccorso. Il cantoniere è anche il primo poliziotto stradale, in quanto deputato a vigilare e contrastare attività che potevano danneggiare la strada. Egli viveva sulla strada assegnata e le case cantoniere, tutte uguali nella forma e nei colori, erano una componente fondamentale delle strade statali, che costituivano la rete primaria per la mobilità del Paese. Questa concezione romantica del lavoro del cantoniere, senza orari, sempre pronto ad intervenire, a soccorrere e ad aiutare, era inevitabilmente destinata a scomparire e la presenza di questa figura diveniva sempre più rara, al pari delle case cantoniere, solo raramente abitate, che inesorabilmente cadevano in uno stato di abbandono. Specialmente sulle strade di montagna, ove il colore tipico ancora le identifica, con le progressive chilometriche impresse sulle facciate, l’indicazione della denominazione della strada e la numerazione assegnata, lo stato di degrado delle case cantoniere al viaggiatore procura infinita tristezza e riflette lo stato della strada, non certo brillante e spesse volte critico.

A fronte di questa situazione, fortunatamente, almeno per le strade statali, la figura del cantoniere, indispensabile per portare tutti gli interventi necessari ad eliminare situazioni di anomalie pericolose per la sicurezza, resta nella denominazione delle figure professionali e l’ANAS, nel custodirne la storia, sicuramente cerca di trasferirne i valori alle nuove leve, che pur non vivendo sulla strada, ne ereditino l’amore per la funzione assegnata.

Anche la rete autostradale, seppure con qualche ritardo rispetto allo sviluppo impetuoso della seconda metà del secolo scorso, avverte la necessità di una figura professionale analoga al cantoniere e l’utilità di disporre di un operatore in grado di coniugare conoscenze tecniche e capacità di vigilanza e di soccorso. Nasce così la figura dell’Ausiliario della Viabilità autostradale, istituita con un protocollo d’intesa tra il Dipartimento della P.S. e l’Aiscat del 1998. Appena istituita, la figura è apprezzata immediatamente anche fuori dei confini nazionali, come dimostra l’attenzione ed il consenso che ottiene in sede ASECAP (Association européenne des sociétés concessionnaires d’autoroutes et d’ouvrages à péage). Gli Ausiliari coadiuvano gli organi di polizia stradale in tutte quelle operazioni che richiedono interventi di segnalazione, di restringimento di carreggiata e di soccorso. Questa figura non ha riconoscimento giuridico ai fini della possibilità di contestare violazioni stradali, ma si deve comunque ritenere competente ad accertare anche le infrazioni che mettono in pericolo l’infrastruttura.

Tale competenza di “polizia” è riconosciuta a tuti gli Enti proprietari ed ai Concessionari di strade e di autostrade per prevenire e per contrastare minacce di ordine fisico alla tutela dell’infrastruttura, ovvero correlate all’esecuzione di attività e servizi soggetti ad autorizzazione, le cui prescrizioni sono indispensabili ai fini della sicurezza stradale.

Proprio come il Cantoniere, l’Ausiliario della Viabilità ha il compito di tutelare la strada, attraverso una presenza costante ed intelligente. La sua professionalità comprende anche le conoscenze normative, mirate alla salvaguardia della rete di competenza da attività e comportamenti in grado di minarne efficienza e sicurezza. La sua sfera di azione è di grande attualità ed indispensabile per la gestione della Sicurezza, che rappresenta la nuova frontiera per tutti gli Enti proprietari e concessionari di strade e di autostrade, come definita dalla Direttiva 96/2008.

 

 

 

(*) “Stava come al centro di Roma e terminavano in lei tutte le strade, dirette ad ogni parte del mondo, e siccome vi terminavano, così anche vi principiavano e s’andavano stendendo a tutte le Province e Paesi soggetti al dominio dell’Impero Romano; poiché essendo Roma padrona e signora di tutto il mondo, conveniva che si sapesse la distanza che vi era da ciascuna parte, per potervi andare, a luogo e tempo, il soccorso, gli eserciti, i proconsoli e li governatori, e quelli fossero informati delle giuste distanze da ciascuna luogo”

(**) Dionigi di Alicarnasso, storico e retore greco, vissuto al tempo di Augusto, affermava: Mi sembra che la grandezza dell’Impero Romano si riveli mirabilmente in tre cose, gli acquedotti, le strade e le fognature